1987 – Un’ esile carreggiata a doppio senso costeggia il fianco della rocciosa montagna; lo strapiombo ai margini della stessa è uno spauracchio sufficiente a sconsigliare manovre affrettate. Come se non bastasse, i veicoli che sfrecciano nella direzione opposta costituiscono un rischio persino maggiore e in ballo c’è la madre di tutte le patenti, la possibilità di aggiudicarsi l’auto dei sogni.

Guai tuttavia a pestare troppo sull’acceleratore: l’orwelliana polizia stradale non lo permetterebbe. D’altronde, non c’è alcuna gara da vincere, nessun traguardo da raggiungere e nemmeno un avversario da seminare: si tratta solo di guidare con prudenza, ingranare la marcia giusta al momento esatto, evitando così di fondere il motore e mandare in frantumi il parabrezza.

Benché alcuni potrebbero pensare il contrario, tutto questo non è Sparta, bensì l’incipt del primo simulatore automobilistico mai apparso su un sistema da gioco casalingo. “Roba seria quella, mica il solito videogioco…” dicevano i ragazzi assiepati all’esterno del Pirate-Shop all’angolo, e credeteci se affermiamo che, all’epoca, nessuno si concedeva il lusso di tirare in ballo Test Drive senza ostentare un sincero timore reverenziale.

Giocando con allegorie e paralleli, si potrebbe in effetti definirlo il Gran Turismo dei suoi tempi, giacché mai prima di allora, un Racing Game aveva osato pretendere un tale impegno dai suoi utenti. Forte di questa sua patina di realismo, il prodigio firmato da Mike Brenna, Don Mattrick, Kevin Pickell poteva peraltro permettersi di fare economia sulla spettacolarità senza pagarne il fio, tant’è che l’austerità del suo comparto visivo e la stessa mancanza di obiettivi quali Check-Point, traguardi et similia, venivano persino percepite come un valore aggiunto.

Secondo alcuni, i meriti del progetto firmato Accolade travalicano il solo fatto di aver sdoganato un approccio più simulativo alla guida: la sua imprevedibile affermazione ai botteghini, contribuì di fatti ad alimentare la tesi che i videogame avrebbero potuto spingersi anche oltre il mero fine giocoso, proponendo modelli di interazione tali da allestire un ponte tra realtà effettiva e realtà simulata.

Ciò non poté che favorire un parallelo processo di maturazione tra i gamer: non a caso, una volta metabolizzata la Test Drive Experience, molti di essi finirono col trovare limitante il gameplay proposto da Hit quali Out Run, Lotus o Continental Circus. Da qui l’esigenza di una complessità strutturale sempre maggiore, che sarebbe scaturita in quella amatissima branca dei Giochi di Corse che fa oggi capo a brand opere come Forza Motorsport, Project Cars e Gran Turismo.