Sebbene, a tutt’oggi, la serie dei Souls possa vantare un’ampia frangia di fedelissimi amanti del fantasy oscuro, delle atmosfere opprimenti e delle sfide senza esclusione di colpi, il franchise non ha sempre riscosso i consensi che ha dimostrato di meritare e, quando esordì sulla settima generazione di console in qualità di erede spirituale dei vetusti King’s Field, nemmeno la stessa Sony credette in un suo possibile successo a livello mondiale. Demon’s Souls fu il titolo che per primo battezzò un intero sottogenere di action RPG dotato di tratti distintivi ben precisi come l’esplorazione meticolosa, l’estrema vulnerabilità del personaggio controllato dal giocatore, una storia ed un background raccontati attraverso dialoghi frammentati e messaggi celati dietro le colorite descrizioni degli elementi interattivi e così via, dai quali molte altre produzioni hanno attinto e contribuito così alla genesi dei cosiddetti souls-like. Tuttavia, il capostipite dei Souls portò From Software a chiedersi se il grande pubblico fosse pronto ad affrontare un livello di difficoltà tanto inesorabile e, come già anticipato, tali preoccupazioni vennero condivise anche da Sony, che inizialmente decise di non pubblicare il gioco al di fuori del territorio giapponese. Con il senno di poi, abbiamo tutti compreso quanto questa scelta si sia rivelata un abbaglio madornale, perciò sembra proprio che l’annuncio del remake per la futura PlayStation 5 sia un modo come un altro per fare ammenda dei propri peccati una decade dopo il misfatto.
Demon’s Souls: hai un cuore d’oro, non lasciare che te lo strappino via
Lo sviluppo di Demon’s Souls è stato complesso e travagliato fin dal principio: oltre ai dubbi relativi alla complessità intrinseca del gioco, il team non sembrava in grado di trovare il giusto equilibrio fra motore grafico e direzione artistica, e dopo svariati mesi dal kickoff dei lavori non era ancora riuscito a realizzare un prototipo soddisfacente, tanto che From Software aveva già etichettato il progetto come un fallimento. Il caso volle che nell’organico fosse entrato da poco anche un nuovo programmatore con una discreta esperienza sulle spalle, il quale aveva accettato persino una riduzione di paga dal suo precedente incarico pur di potersi dedicare alla creazione di videogiochi, che si candidò per il ruolo di direttore e guida immaginifica del titolo: in fin dei conti, qualora le sue idee non avessero funzionato nessuno avrebbe avuto nulla da ridire, dato che l’insuccesso sembrava ormai assicurato. Il resto, come si suol dire, è storia: il volenteroso tecnico, naturalmente, era Hidetaka Miyazaki, e il suo fondamentale contributo su Demon’s Souls ne cementò la reputazione come autentica forza creativa trainante di questa novella declinazione dei giochi di ruolo, qualifica che gli consentì di sovrintendere anche molte altre opere del medesimo calibro quali la trilogia di Dark Souls, Bloodborne, Sekiro e il già annunciato Elden Ring. Insomma, come i fan di Nintendo venerano Miyamoto, così gli estimatori dei soulslike considerano Miyazaki, a ragion veduta, l’unico e il solo padre fondatore della categoria.
A dispetto dell’accoglienza oltremodo positiva che la critica ed il pubblico riservarono al gioco in patria, Sony rimase ben salda nelle sue posizioni e si oppose con fermezza alla sua distribuzione globale: fu Atlus a sfidare il mercato oltreoceano e, con malcelato disappunto misto a stupore della multinazionale, mostrò a quest’ultima quanto fosse estesa la platea di aspiranti avventurieri in occidente, affatto intimoriti dalla tanto sbandierata inaccessibilità che, al contrario, divenne un collante eccezionale per la comunità formatasi per analizzare il folclore e la mitologia del titolo, nonché per oltrepassare collettivamente le sfide più ardue grazie al peculiare multiplayer sia sincrono che asincrono, destinato a diventare uno dei capisaldi del genere. La strategia di From Software, che aveva puntato a regalare ai giocatori un senso di soddisfazione personale dopo ogni ostacolo superato piuttosto che di avvilimento per le ripetute ed inevitabili sconfitte che precedevano le vittorie, ottenne un beneplacito quasi universale, ma non le permise di capitalizzare il successo conseguito perché Sony deteneva comunque la proprietà intellettuale dell’opera, e non avrebbe mai concesso agli sviluppatori l’autorizzazione a convertirla su piattaforme diverse dalla sua PlayStation. Sappiamo bene poi come, negli anni a seguire, i vari Dark Souls abbiano raccolto l’eredità dell’originale per trasporla un po’ ovunque, ma è quantomeno intrigante pensare alla possibilità che l’intero brand avrebbe potuto essere un’esclusiva delle console Sony se solo quest’ultima avesse avuto fiducia nel prodotto.
Mostrami la forza delle tue anime
Lasciati i vecchi contrasti alle spalle, appare dunque evidente come il rilancio di Demon’s Souls su PlayStation 5 sia un ottimo modo per ammettere i propri errori e manifestare una rinnovata fiducia nella serie: persino Shuhei Yoshida, che all’epoca dichiarò apertamente la propria frustrazione per non essere riuscito a superare la zona iniziale dopo più di due ore di gioco, ha introdotto il breve trailer promozionale raccontando di come invece abbia imparato ad apprezzarlo nel tempo. La ragguardevole impresa è stata affidata alle mani esperte di Bluepoint Games, già responsabili di ottimi rifacimenti come Uncharted, Gravity Rush e Shadow of the Colossus per PlayStation 4, dunque possiamo già attenderci un trattamento ossequioso del materiale originale seppur rielaborato per adattarlo in ottica più moderna: a tal proposito, molti utenti si sono affannati a realizzare confronti pratici per comprendere il reale balzo generazionale che dovrebbe trasparire dalla potenza del nuovo hardware, come quello confezionato da ElAnalistaDeBits su YouTube, nei quali si percepisce una certa variazione verso uno stile forse un po’ più “pulito” rispetto alla prima apparizione del decadente regno di Boletaria su PlayStation 3, ma anche un’incredibile robustezza di architetture, modelli poligonali, texture ed effetti di luce che mostrano, per quanto possibile, la bontà del lavoro svolto finora dai ragazzi di Austin.
Sony ha inoltre affermato che Demon’s Souls Remake sfrutterà appieno il ray tracing, una tecnica di rendering per generare un’immagine tracciando il percorso della luce come pixel su un piano e simulando gli effetti di rifrazione quando incontra oggetti virtuali, per migliorare ulteriormente il comparto grafico e generare “bellissimi effetti d’ombra”, offrendo al contempo ai giocatori la possibilità di affrontare i demoni del Nexus con due modalità distinte, una incentrata sulla resa estetica e un’altra sulla frequenza dei fotogrammi: benché non siano stati divulgati ulteriori dettagli in merito alle impostazioni video, è lecito attendersi che la prima implementerà tutti i dettagli cosmetici del caso, ray tracing compreso, con un frame rate fissato sui 30 fps, mentre la seconda sacrificherà parte della qualità estetica per raggiungere i 60. Tuttavia, aspettarsi di poter fronteggiare il Falso Re in 4K a 60 frame al secondo resta ancora un sogno mostruosamente proibito, a meno di non ricevere inattese conferme da parte degli sviluppatori nei mesi a venire.
Lo scorso anno, il presidente di Bluepoint Games, Marco Thrush, affermò che la loro versione di Shadow of the Colossus era stata un risultato incredibile per lo studio, ed è difficile dargli torto considerata l’eccezionale qualità del gioco, perciò non posso che augurarmi che questa loro nuova fatica riesca ad eguagliare e superare tale conquista. Questo Demon’s Souls Remake sarà anche l’occasione per qualcuno di sperimentare il patriarca dei souls-like per la primissima volta, dato che la mancanza di retrocompatibilità su PlayStation 4 ha privato di quest’esperienza quanti scelsero di non acquistare la precedente console targata Sony, e potrebbe addirittura spianare la strada perché From Software si metta al lavoro su un vero e proprio sequel esclusivo per PlayStation 5.