Nel settore giornalistico, il termine “embargo” va a definire una data prima della quale non è possibile ai redattori pubblicare opinioni o informazioni riguardanti un determinato prodotto. Solitamente gli editori e i distributori fanno uso degli embarghi per ritmare le proprie campagne marketing pilotando l’“hype” dei lettori in maniera strategica e oculata, tuttavia, nei casi estremi, gli embarghi possono essere utili anche a contenere i danni qualora le aziende non ripongano fiducia nell’opera che sta per essere commercializzata: basta impostare la fatidica data a ridosso della commercializzazione del film, così che l’impatto della critica sia il più contenuto possibile. Il Morbius di casa Sony raggiunge le sale di proiezione pubblica il 31 marzo, data che coincide fatalmente con la scadenza di detto embargo: una coincidenza?
Morbius, più Hyde che Erik
Il dottor Michael Morbius non è tra i più celebri personaggi fumettistici Marvel, tuttavia attorno a lui si è sviluppata una frangia di affezionati che ne apprezza le peculiarità narrative e stilistiche. Gli albi che lo rappresentano raccontano infatti le vicende complesse di una persona dotata di profonda intelligenza che è costretta a vivere una vita violenta e animalesca a causa di un esperimento deragliato, con il risultato che la sua mente corre frequentemente a pensieri suicidi. Il Morbius interpretato da Jared Leto per il grande schermo condivide con le pagine stampate l’incidente di laboratorio, ma poco altro. Più che essere un “fantasma dell’opera” tragico e sfigurato, lo scienziato viene rappresentato al pari di un “dr. Jekyll” che è perlopiù in grado di tenere a bada la sua trasformazione e il cui dramma goticheggiante è quindi confinato al timore di perdere un giorno il controllo delle proprie pulsioni. Morbius, il film, dimentica però il punto di forza del libro di Robert Louis Stevenson, ovvero che il dr. Jekyll era intossicato dalla libertà decadente di mr. Hyde al punto di essere tentato dal cedere al peccato.
Il rapporto duale sopra citato viene parzialmente ricreato attraverso la presenza di Lucien, detto “Matias”, individuo che finisce con l’ereditare i medesimi poteri “vampirici” del titolare protagonista, ma che non si fa problemi ad abusare edonisticamente del fatto di aver scalato improvvisamente la vetta della catena alimentare. L’onere di vestire i panni dell’antagonista è spettato a Matt Smith, il quale fa il possibile per dare l’impressione che Matias stia godendo della degenerazione in cui incorre, tuttavia la performance attoriale è gravata da un copione che si limita a descrivere il cattivo al pari di un buffone assassino che balla occasionalmente davanti allo specchio di casa. Sul set presenziano anche Adria Arjona e Jared Harris, i quali impersonano reciprocamente l’interesse amoroso di Morbius e il suo mentore, ruoli che evocano legami sentimentali mai sondati nei fatti, incapaci di generare qualsivoglia legame empatico, sia tra i soggetti della trama che con il pubblico.
Non brutto, ma scialbo
The Batman dura 176’ (qui la nostra recensione), la final cut di Watchmen 187’, la Zack Snyder’s Justice League arriva ai 242’, eppure i 104’ di Morbius sembrano surclassare per lentezza e durata tali suoi omologhi supereroistici. A causare una simile dilatazione della percezione temporale è la debolezza dello script vergato a quattro mani da Matt Sazama e Burk Sharpless, autori noti al mondo per “classici” cinematografici quali L’ultimo cacciatore di streghe, Gods of Egypt e i Power Rangers del 2017. I personaggi da loro delineati sono assolutamente archetipali e privi di spessore, ma, ancor peggio, i loro rapporti e i loro tratti caratteriali vengono esposti più su chiave narrativa che sul piano cinematografico: ci viene detto che Michael Morbius è innamorato della propria assistente, ma nulla delle sue azioni ci dà a intendere che i suoi interessi valichino l’affetto e la stima professionale; ci viene detto che Matias è un decadente dalle risorse economiche infinite, ma sullo schermo lo si vede spesso confinato nel soggiorno del suo appartamento e il suo potere finanziario non viene mai esplorato in connessione alle sue derive vampiriche. In senso assoluto, Morbius ha gli elementi narrativi utili a strutturare un film competente, tuttavia è come se quel film virtuoso esistesse solamente in una dimensione parallela e che a noi sia toccato subire un montaggio privo delle scene utili a gestire la costruzione del mondo filmico.
Sul piano prettamente tecnico, il regista Daniel Espinosa, forte dell’esperienza maturata con Life, è riuscito a imbastire un lungometraggio funzionale che valorizza quelle rare sfumature horror rimaste all’antieroe fumettistico, tuttavia gli effetti speciali digitali finiscono immancabilmente con lo strappare lo spettatore dall’immersione narrativa. Morbius compie infatti il peccato capitale già riscontrato in Black Panther, ovvero delega al virtuale lo svolgimento delle scene d’azione più estreme, con il risultato che queste perdono a loro volta di peso, importanza e drammaticità. Considerando la piattezza delle sezioni drammatiche della pellicola, il fatto che i momenti dinamici siano scialbi non può che contribuire alla genesi di un prodotto filmico insipido, privo di contenuto e intrattenimento.
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— Marcelo Córdova (@marcelocordova) March 22, 2022
La connessione con il MCU
Morbius ha subìto di un lancio particolarmente sofferto a causa della pandemia – cosa ironica, visto che il film narra di una “malattia” creata in laboratorio attraverso degli esperimenti sui pipistrelli. Il lungometraggio era previsto per il 2020 e nei lunghi mesi d’attesa si è molto discusso di quale potesse essere la posizione del brand all’interno del Marvel Cinematic Universe (MCU), se non altro perché Sony ha più volte fatto l’occhiolino ai blockbuster in mano alla Disney e si è dimostrata pronta a “prestare” Spider-Man alla sua competitor. Ebbene, Morbius fa ufficialmente parte dell’universo cinematografico di Venom, il quale, evitando di fare troppi spoiler, è stato ora integrato per vie traverse nel MCU.
Questa rivelazione non giungerà certamente nuova a chi ha seguito pedissequamente i trailer che hanno preceduto il lancio dell’opera, i quali hanno ben pensato di rivelare sin da subito i contenuti “segreti” delle scene post-credit. A voler essere maliziosi, si potrebbe pensare che il reparto marketing abbia ritenuto opportuno evidenziare la presenza di un particolare personaggio – che noi non nomineremo – per dare a intendere che questi abbia un ruolo importante nella trama, spingendo i fan a correre al cinema per capire quale sia il suo ruolo nella vicenda. Nel caso, vi invitiamo a non cedere al tranello: il soggetto in questione non ha alcuna presenza nel film effettivo, ma si limita a comparire come cameo piacione e parzialmente insensato che si inserisce esclusivamente in coda all’epilogo.
Morbius non è uno di quei film che il regista Martin Scorsese potrebbe definire «spregevole», non è un «parco a tema» pensato per un mero appagamento ludico. Regista e attori ci hanno creduto veramente e il personaggio offriva virtualmente degli stimoli che avrebbero potuto portare a un qualcosa di interessante, tuttavia il copione spento zavorra l’intera opera, negandole qualsivoglia momento di gloria. Parte di un simile insuccesso è forse attribuibile alla crisi identitaria che sta colpendo i supereroi Marvel in mano a Sony, i quali vivono tragicamente a cavallo tra lungometraggi autonomi e il Marvel Cinematic Universe coniato da Disney, incerti del proprio ruolo futuro. Morbius viene adombrato dai blockbuster supereroistici usciti nei mesi recenti ed è facile prevedere che, come accaduto con Venom – La furia di Carnage, il film finirà presto su un qualche servizio di streaming, mimando le dinamiche straight-to-video tipici delle produzioni minori.