Death end re;Quest Recensione

Death end re;Quest

Il Giappone, che paese magnifico. È da questa incredibile nazione che provengono alcuni dei prodotti che ci appassionano: JRPG, grafic-novel e fan service. Non a caso ho menzionato questi tre aspetti perché essi sono la spina dorsale che sorregge Death end re;Quest. Il titolo è sviluppato in esclusiva per PlayStation 4 da Compile Heart Inc., pubblicato da Idea Factory e che non nasconde la sua fortissima inclinazione di tentare di soddisfare gusti dalle chiare radici giapponesi. Questo titolo cavalca un filone che nella nazione di Tokyo fa incetta di consensi e che in Occidente si è ritagliata un fetta, seppur piccola, di mercato. Il più importante filo conduttore del gioco è la tradizione, quella più conservativa, di alcuni aspetti. Quella che porta lontano dall’innovazione e vicino a scelte molto vincolate a temi canonici.

Death end re;Quest

Un po’ troppo grafic novel

La trama è un chiaro esempio di questa ricerca di canoni già proposti in più occasioni. Tutta la vicenda ruota intorno al parallelismo tra avvenimenti nel mondo reale e ripercussioni di essi sulla infrastruttura di un videogioco, chiamato World’s Odyssey, nel quale la protagonista Shina Ninomiya si trova catapultata in maniera violenta e privata inizialmente della memoria e con un bisogno di fuggire da quel mondo virtuale. In Death end re;Quest è stato applicato il rodato e popolare filone della realtà virtuale. Il paragone con l’anime Sword Art Online è presto fatto, ma i punti di contatto sono tanti quanti quelli di lontananza. Questo universo virtuale è molto barocco e con una vena tecnologica molto evidente, inoltre la vicenda assume in molti frangenti aspetti molto cupi e anche abbastanza cruenti. La scalata verso la libertà da questa prigione virtuale viene raccontata discretamente bene attraverso le sezioni di dialoghi che costellano il gioco. La lettura tuttavia non è di quelle agili a causa di lunghissime stringe di testo che mettono in luce l’aspetto graphic novel del gioco ma spezzano il ritmo oltre alla sostanziale linearità della prosecuzione del gioco che ne rallenta molto il dinamismo. A poco servono le missioni secondarie poiché la scarsità di NPC (dettata dalla trama) ci costringe a recuperarle in maniera molto anonima e senza soddisfazione nel completamento.

Graficamente bene, ma non benissimo

Per fortuna la protagonista e gli altri personaggi principali dimostrano di avere una caratterizzazione gradevole grazie a un design più che riconoscibile e di sicuro impatto, nonostante sia legato al convenzionale stile da anime. La cura del dettagli delle protagoniste femminili va di pari passo con il loro essere assolutamente al servizio del fan service, con rotondità pronunciate nei punti giusti, ammiccamenti, sobbalzi e gridolini da idol (questi ultimi fin troppo marcati e inutilmente ridondanti nella fase esplorativa). Lo cel shading esalta e consolida queste scelte di design e viene trasposto in maniera perfetta negli sprite e artwork bidimensionali. Nella media e ancorati ancora una volta alla tradizione e ai modelli canonici dei JRPG anche i mostri di gioco, esteticamente curati soprattutto nelle alterazioni dettate dalla presenza dei bug nel codice della realtà virtuale protagonista del gioco. Peggio va per gli scenari che sono troppo spogli e spesso anonimi, con interni schematizzati, in alcuni casi senz’anima, e sezioni di mondo di gioco più frastagliate ma con poco spazio all’esplorazione. Bene si comportano gli effetti di luce nelle fasi di combattimento che si amalgamano bene con l’azione di gioco con i loro colori vividi. Un po’ meno bene le luci e ombre un po’ troppo artificiose anche per una produzione in cel-shading. Il gioco si difende bene contro le insidie dell’aliasing anche su PlayStation 4 standard e il frame rate non dà quasi mai segni di cedimento.

Death end re;Quest

Spinte e rimbalzi unica diversificazione

Parlando di tradizione, le meccaniche di combattimento ed esplorazione sono perfettamente inquadrate nel canone dei classici JPRG. Le convenzioni sono presenti anche nel menu di gioco molto schematizzato, con poca estetica e con quel gusto retrò che ricorda tanto lo stile dei primi anni duemila. Nessuna grande novità di gameplay in questo Death end re;Quest con combattimenti a turni, abilità specifica dei singoli membri del party, arti da usare spendendo punti abilità e un lungo elenco di oggetti e risorse da gestire. Tutto nella norma se non fosse per una componente strategica e dinamica in più dettata dalla libertà di movimento nel cerchio di combattimento durante il turno di attacco. Essa permette di difendersi e puntare gli avversari con più facilità e pianificare mosse con maggiore impegno, nonostante il livello di sfida abbastanza abbordabile senza necessità di livellare eccessivamente. Questo serve soprattutto a gestire la meccanica della spinta e del rimbalzo, unico vero aspetto di differenziazione. Questo sistema permette di massimizzare i danni inflitti ai nemici facendoli sbattere contro i limiti dell’arena e gli alleati del party. Una meccanica che necessità una minima abilità da giocatore di biliardo per poter essere più efficace, ma che offre soddisfacenti combo letali. Questa meccanica necessita di numerosi comandi e movimenti da impartire al party e comporta, purtroppo, una mappatura e gestione dei comandi un po’ troppo farraginosa che richiede più di qualche run per essere assorbita.

Death end re;Quest è tutto quello che ci si aspetterebbe da un prodotto fan service per cultori dei JRPG tradizionali. Questo gioco di ruolo fa dell’essere conservatore una ragione di vita, mostrando tutti gli aspetti sia positivi che negativi di questa scelta. I vincoli con gli stereotipi e canoni estetici, narrativi e di gameplay si sentono tutti soprattutto quando si tratta di fare quello scatto in più per emergere dalla massa. Proprio per questo il gioco può essere apprezzato con fervore e interesse dai cultori di questo genere. La narrazione, seppur lenta e molto incatenata a paletti in fase esplorativa, è appassionante quel tanto che basta e va a toccare temi popolari e apprezzati. Il gameplay con le sue carambole di nemici da concatenare riesce a dare qualche brivido di piacere altrimenti relegato a uno stile da giochi di ruolo a turni di quelli classici, fin troppo classici.

Dalla sua Mansion nel Sannio ha attraversato l'universo senza Tuta Phazon, visitando regni brulicanti di Koopa con l'aiuto di Pietre Sheikah. Ma il suo desiderio è una casetta sulla colonia 9 di Bionis e un mech parcheggiato in giardino. Cinema, borad game e birra artigianale le altre sue passioni. Ogni volta che esce un nuovo Zelda esclama: "Avverto un tremito nella forza."