Cinema e Videogiochi – Resident Evil (2002)

Ogni settimana parliamo di un film tratto da un videogame. Raccontiamo passioni, sfide e curiosità su un genere che, fra alti e bassi, ha segnato l’inizio del nuovo millennio. 

L’horror game Resident Evil nel 2002 aveva all’attivo un discreto numero di giochi, e nel corso degli anni aveva dato prova della capacità di mutar forma e in qualche caso anche genere. In casa Capcom non era lecito riposar sugli allori. Quell’anno venne avviata una saga cinematografica parallela che, come quella videoludica, avrebbe infranto qualche record. Con la recente uscita dell’ultimo capitolo, esaustivamente intitolato The Final Chapter, l’esalogia di Resident Evil è entrata nel Guinness dei Primati per la trasposizione da un videogioco più remunerativa di sempre. I 6 film sono costati solo 290 milioni di dollari, e hanno incassato la bellezza di 1 miliardo e 200 milioni. Il merito è da ascrivere principalmente alla stessa Capcom e al suo occhio lungo. Fu questa a individuare in Paul W. S. Anderson e Milla Jovovich le figure chiave per l’adattamento. Due persone che, sin da quel primo film, si sarebbero per sempre legate al franchise (e in seguito anche sentimentalmente).

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I fan alla prima del film.

[quotedx]La bellezza di 1 miliardo e 200 milioni.[/quotedx]Ops, ho detto adattamento? Il film è “loosely based”, solo vagamente ispirato alla fonte originale. Molto vagamente. Invece di seguire la trama del videogioco, si scelse di sviluppare una storyline alternativa, creando dal nulla il personaggio di Milla Jovovich. Alice è una dipendente della Umbrella Corporation, messa a guardia dell’Hive, un enorme centro di ricerca sotterraneo in cui si effettuano esperimenti genetici. Il T-Virus, a causa di un sabotaggio interno e delle scarsissime misure di sicurezza, finisce nei condotti dell’aria e trasforma i dipendenti in zombie e gli animali in pericolosi mutanti. La Red Queen, IA del centro, uccide non senza un pizzico di crudeltà i superstiti per prevenire la diffusione del virus all’esterno. Alice si risveglia, nuda (è ovvio) e senza ricordi, nella magione in cui viveva, dove incontra un gruppo di militari e un poliziotto, che diventerà Nemesis nel sequel. Inizia così un action-horror con più proiettili che idee in cui ad Alice viene già fornito il super-potere di far fuori i morti viventi con i calci rotanti, manco fosse Chuck Norris. Nel gruppo spicca Michelle Rodriguez, sempre credibilissima con un’arma in mano.

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La forza del franchise.

La forza del franchise cinematografico di Resident Evil è già rinvenibile tutta nel suo primo film. Una protagonista che spacca i fondoschiena, d’una bellezza ipnotica, uccisioni in puro stile gore e pochissimi riferimenti al videogioco in modo da scontentare il meno possibile i fan. Se il concept del film fosse stato basato con più rigidità a quello videoludico, sarebbe stato in ogni caso giudicato un tradimento dai giocatori. Per tale ragione Capcom rifiutò la sceneggiatura di un maestro dell’horror come George A. Romero, che aveva attinto a piene mani da Resident Evil 1. I protagonisti, nello script scartato, sarebbero stati proprio Jill Valentine e Chris Redfield, coinvolti in un’improbabile relazione romantica. Fu lo stesso dirigente Capcom Yoshiki Okamoto a dire laconico, nel corso di un’intervista: “Il suo script non era buono, e Romero fu licenziato”. Al suo posto subentrò Anderson, che scrisse tutti i film successivi e ne diresse la maggior parte. E a ragione: Anderson (quasi come Zemeckis di Ritorno al futuro) è abilissimo nella tecnica del “tanto te lo spiego dopo”.

Il parere del Direttore

Tra accozzaglie pseudo-cinematografiche e (peggio) pretenziosi adattamenti dai piedi d’argilla, il primo Resident Evil filmico è quasi un diamante grezzo. Buono l’impianto horror, corretto l’inserimento di una storyline parallela che stacca dal videogioco. E poi diciamolo: la bellezza di Milla Jovovich sa essere la marcia in più.

Marco Accordi Rickards, Editor-in-Chief