Panama Papers Recensione

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Presentato in concorso alla 76° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Panama Papers è il nuovo lungometraggio diretto dal regista premio Oscar Steven Soderbergh. Basato sul romanzo Secrecy World, il film narra in modo irrivente la frode assicurativa perpetrata dallo studio Mossack Fonseca, ed ha tra i suoi protagonisti gli attori Meryl StreepGary Oldman Antonio Banderas.

Il film ha inizio con la vedova Ellen Martin (Streep), la quale indaga su una frode assicurativa che la conduce ad uno studio legale di Panama City, gestito dai soci in affari Jürgen Mossack (Oldman) e Ramón Fonseca (Banderas). Presto scoprirà che il suo caso è solo una piccola parte di milioni di file che contengono informazioni su società offshore impegnate in attività di riciclaggio.

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Un film che naviga tra più generi

Soderbergh dichiara sin da subito gli intenti del film, sin dalla prima scena e dalle prime battute. Panama Papers non è infatti un film che segue in modo didascalico l’inchiesta che ha portato allo smascheramento del noto studio legale, bensì una brillante autodifesa sostenuta proprio dagli stessi Mosseck e Fonseca, interpretati in questo caso da Gary Oldman e Antonio Banderas. Sono loro a introdurre il film e presentare gli eventi allo spettatore. Tutto si svolge dunque tramite la loro narrazione, tutt’altro che neutra, ma mirante ad uno scopo ben preciso. Suddividendo il film in capitoli, si viene condotti nei principali casi che hanno portato all’esplodere della notizia di frode, divenuta in breve di dominio pubblico.

Attraverso questi il regista compie un viaggio tra i generi, dalla commedia al dramma e fino all’horror. Con una continua rottura della quarta parete, Soderbergh si prende gioco delle convenzioni cinematografiche, riformulando nuovamente la sua idea di cinema attraverso un film estremamente politico e radicale. Panama Papers sembra infatti riflettere non solo sulla storia raccontata, ma anche sulle nuove frontiere cinematografiche, che rendono oggi il cinema un luogo sempre più frammentato e di difficile catalogazione. Non appare dunque un caso che dietro al film vi sia la presenza di Netflix, con cui il regista segna una nuova collaborazione. Può dunque apparire come un grande divertissement questa nuova pellicola dell’autore di Sesso, Bugie e Videotape, ma nasconde nelle sue pieghe un accusa ben più profonda di quello che sembra.

È la legge ad essere sbagliata

Nell’approssimarsi alla conclusione, Soderbergh, e i suoi personaggi con lui, tirano i fili del discorso. L’insolito punto di vista, quello dei due diretti responsabili della frode, appare ora motivato. Sono proprio loro infatti a dimostrare la perfetta legalità di quanto compiuto, svelando un sistema di leggi talmente scadenti da consentire simili imbrogli. A questo punto il film diventa sempre più una riflessione priva degli orpelli del cinema, tanto che l’ambiente diventa a questo punto un riconoscibile e dismesso set cinematografico. Meryl Streep abbandona il suo ruolo per essere sé stessa, e parlare direttamente allo spettatore, comunicando esplicitamente le falle del sistema legislativo americano.

Una scelta stilistica, questa, che appare perfettamente coerente con il resto del film. Soderbergh conduce così un gigantesco discorso metacinematografico, non didascalico né documentaristico. Il suo è intrattenimento in grado di diffondere in modo semplice una storia complicata, un po’ quanto fatto dal film La grande scommessa riguardo la crisi economica.

Benché in più occasioni il film sembri indebolirsi, date le numerose digressioni date da una struttura non lineare, è nella scrittura brillante di Scott Z. Burns che si racchiude una prima parte della grandezza del film, portato poi al massimo splendore dalla messa in scena ricca e vivace del regista. A riempire i quadri narrativi da lui costruiti, vi sono i tre splenditi interpreti principali. Colonne portanti in grado di essere tanto il filo comune degli episodi del film, quanto veri e propri ispiratori di riflessioni riguardo i temi trattati. Soffocati da un mondo economico che non sembra lasciare via di fuga, questi vengono tuttavia dotati anche di una dolcezza e di un’umanità che rende questa storia a noi meno distante, ed emotivamente più accattivante.

Gianmaria è sempre stato un grande appassionato di cinema e scrittura, tanto da volerne fare la sua professione. Studiando queste materie all'Università decide di fondere le sue passioni nella critica cinematografica e nella scrittura di sceneggiature. Tra i suoi autori preferiti vi sono Spike Jonze, Noah Baumbach e Richard Linklater.