Ne abbiamo sentite di cotte e di crude in un mondo che si “evolve” sempre più. Soprattutto per quanto riguarda il puntare il dito contro i videogiochi, definendoli come il male di ogni cosa: che essa sia il razzismo, l’identità di genere o la violenza, il videogioco è sempre un portatore di una di queste (se non tutte), come fossero costanti, solo per via dei giocatori che usufruiscono di pezzi d’arte, da anni a questa parte, capaci adesso di costruire e tirar fuori problematiche a dir poco attuali, nei modi più originali e costruttivi in assoluto con un format che va via via espandendosi, portando ad un livello più alto quella che era nata come pura forma di intrattenimento più di 30 anni fa.
Ne sentiremo ancora tante con ogni probabilità e tali “schieramenti” hanno le proprie ragioni di discussione su entrambi i lati. Tra i molteplici studi fatti nel corso del tempo, quello più recente, durato ben 10 anni, potrebbe avere forse una risposta. Intitolata “Crescere con Grand Theft Auto: uno studio di 10 anni della Crescita Longitudinale di Videogiochi violenti negli Adolescenti“, la ricerca dal nome a dir poco chiaro, ha alla fine scoperto che non vi è alcuna correlazione tra la violenza osservabile nei videogiochi e il comportamento violento attuabile nella vita reale.
Essendo uno studio longitudinale, esso ha sviluppato i propri dati con un approccio centrato sull’individuo, prendendone variabili come il genere, lo status socioeconomico e il luogo in cui esso vive per poi compararlo ad un gruppo specifico di campioni. Il risultato è che i dati raccolti racchiudono un campo molto vasto, attingendo a varie personalità.
Il gruppo di persone preso in esame era composto del 65% di caucasici, 12% di persone di colore, 19% di gruppi multi-etnici e un altro 4% di altre identità etniche individuate nelle “grandi città del nord-ovest”. La ricerca ha messo in luce la verità per quanto riguarda chi gioca il genere più violento, con i ragazzi tendenzialmente più numerosi delle ragazze e, inoltre, ha fatto sì di creare 3 ulteriori sottoinsiemi.
Tutti e tre legati dall’importantissimo fattore della giovane età, essi sono formati dal 4% per alta violenza, il 23% per media violenza e il rimanente 73% per bassa violenza. Ciò significa che solo il 3% dei giovanissimi gioca a titoli altamente violenti e così via per le altre percentuali. Più nel dettaglio, in un decorso di 10 anni, i primi due gruppi tendono a diminuire (in soldoni, nella durata di 10 anni parte di quelle persone smette di giocare a titoli altamente o moderatamente violenti), mentre tende a salire l’ultimo gruppo, aumentando così il numero di individui che giocano a titoli scarsamente violenti o non violenti.
In ultimo, lo studio chiude affermando che, alla fine dei 10 anni, non vi è stato alcun cambiamento nel comportamento prosociale fra tutti e tre i gruppi. In altre parole, non c’è alcuna prova che suggerisca che i videogiochi violenti in mano alla giovane età scaturiscano comportamenti o episodi di violenza una volta diventati adulti.