La serie di Famicom Detective Club è nata a fine anni ’80 su Family Computer Disk System con The Missing Heir, a cui l’anno successivo ha fatto seguito The Girl Who Stands Behind. I titoli non sono mai arrivati in occidente, escludendo traduzioni fan-made, pur avendo raggiunto un buon successo di pubblico in Giappone. L’essere stati realizzati per una periferica mai venduta al di fuori del Sol Levante ha di sicuro contribuito alla loro mancata localizzazione, ma non è stato probabilmente l’unico elemento. Famicom Detective Club è in effetti un titolo molto giapponese, le cui atmosfere, dialoghi e ambientazioni potevano sembrare difficili da fare apprezzare a giocatori stranieri. È ovvio come le cose negli anni siano cambiate e forse un po’ per nostalgia e un po’ per speranza di far conoscere la serie al mondo, nel 2021 un remake dei due titoli arriva finalmente sulle nostre console, localizzato in inglese e pronto a farsi strada tra i franchise Nintendo. Ad onor del vero, una delle protagoniste dei titoli era già apparsa su Smash Bros. Melee come trofeo, perciò mi pare evidente come il desiderio di non far dimenticare la saga fosse già vivo e vegeto. Famicom Detective Club è stata anche il primo vero e proprio titolo scritto da Yoshio Sakamoto, prima che l’autore si dedicasse alla saga di Metroid. Sakamoto apprezza il lavoro svolto con questi due detective game e ha tratto la sua ispirazione da diversi media, tra cui Profondo Rosso di Dario Argento. Nonostante un pedigree di tutto rispetto, i due giochi hanno un grosso “difetto”: sono visual novel e come tali sono viste con un certo sospetto da molti giocatori. Il mio compito in questo caso, dopo il provato che vi abbiamo proposto, è proprio cercare di far capire agli scettici perché Famicom Detective Club merita i loro soldi e il loro tempo. Il nome completo del gioco sarebbe Famicom Detective Club: The Missing Heir & Famicom Detective Club: The Girl Who Stands Behind, ma per comodità andremo ad indicarlo semplicemente come Famicom Detective Club.
Famicom Detective Club: due storie con due anime diverse
The Missing Heir inizia presentandoci un giovane investigatore che ha perso la memoria. Oltre a dover ritrovare se stesso, il protagonista ha il dovere di indagare sulla morte di una anziana capofamiglia, che ha avuto un attacco di cuore poco dopo aver redatto il suo testamento, avvenimento quanto meno sospetto. La storia si dipana tra razionalità e paranormale, trovandosi ben presto a stretto contatto col folklore e le leggende che si raccontano nel piccolo paese dove è ambientata. C’è un certo fascino nel dover indagare sulle faccende familiari e sullo scoprire i segreti dei vari personaggi, che ricorda un po’ i classici film di investigazione. Man mano la trama diventa più intricata e vengono introdotti altri soggetti con cui interagire per ricostruire il puzzle e dare un senso agli eventi. Non posso dire di essere rimasta sorpresa dallo scoprire la verità, ma la storia raccontata mi ha comunque affascinata. È stata scritta con garbo e con un ottimo ritmo ed è in grado di coinvolgere il giocatore fin dai primi minuti. In effetti mi ha colpita così tanto da farmici pensare anche quando non stavo giocando e nei giorni successivi l’ho rivissuta nella mia mente come mi capita con la trama di film o serie TV che mi intrigano: è evidente che ciò la renda un buon prodotto. Il finale, seppur un po’ prevedibile almeno qualche ora prima del suo arrivo, ha un certo impatto.
The Girl Who Stands Behind è il secondo titolo della serie di Famicom Detective Club, ma è un prequel diretto. Il mio consiglio è di giocarlo per secondo, non facendosi tentare dall’ordine temporale della storia: in caso contrario incorrerete in spoiler rilevanti per il primo titolo, considerando che il protagonista è lo stesso e qui la sua memoria è intatta. Questa investigazione ha un’atmosfera del tutto diversa dall’altra, decisamente più oscura e inquietante. Parliamo in effetti dell’omicidio di una giovane studentessa, strangolata e gettata nel fiume. Ben presto le nostre indagini si focalizzano su un vecchio delitto che sembra correlato a questo e si intrecciano con una storia di fantasmi del liceo della vittima. Tutte le storie di paura delle scuole giapponesi trovano il loro coronamento in The Girl Who Stands Behind e il risultato fa il suo effetto. Nonostante la trama sia forse più interessante, ho preferito l’atmosfera tranquilla del mistero familiare dell’altro titolo, ma sono gusti personali. In questo la giovane detective Ayumi Tachibana, del tutto marginale nell’altro gioco della serie, assume un ruolo di maggior rilievo. È stata lei la protagonista del terzo capitolo, realizzato nel 1997 su Satellaview, e suo è il cameo in Smash Bros., perciò è evidente come sia un personaggio più interessante e sfaccettato del protagonista che interpretiamo.
Un gameplay classico ma soddisfacente
I due titoli di Famicom Detective Club sono molto simili come gameplay, seppur il secondo offra qualche possibilità in più. Nel primo abbiamo a disposizione un piccolo numero di interazioni con l’ambiente: possiamo spostarci di zona in zona, parlare con un personaggio, chiamare qualcuno a dialogo, osservare l’ambiente, prendere o aprire oggetti e cercare di ricordare. La maggioranza delle opzioni è sempre disponibile, mentre altre compaiono solo quando è possibile effettuare una determinata azione. Ad esempio, capita di sovente che non sia possibile viaggiare verso altri luoghi fino ad aver prima interagito con qualche elemento di una ambientazione. I dialoghi con i personaggi sono piuttosto lunghi e laboriosi e richiedono spesso di dover porre la stessa domanda una volta raccolte sufficienti informazioni. Può essere necessario anche interagire in altri modi, come mostrare foto o oggetti o osservando meglio l’interlocutore. È un processo lento e ripetitivo ma, ciò nonostante, dà una certa soddisfazione: crea l’illusione di una vera indagine, nella quale man mano riusciamo a trovare la chiave per far parlare un sospetto. Interagire con l’ambientazione muovendo il cursore è anch’esso piuttosto macchinoso ma mai troppo complesso: non ci sono minuscoli elementi nascosti in giro da trovare, perciò si capisce quasi sempre dove focalizzare la nostra attenzione. In generale, non mi è mai capitato di rimanere bloccata più di qualche minuto, poiché è difficile non capire come proseguire: c’è un numero limitato di possibili azioni da svolgere in qualsiasi momento, ma non l’ho trovato un difetto vista la natura del titolo. Capita un paio di volte di dover scrivere la risposta corretta ad un quesito e ciò può essere un po’ più difficoltoso del resto.
The Girl Who Stands Behind cambia leggermente la struttura, sostituendo l’opzione di ricordare con quella di riflettere: un’ovvietà visto che qui il detective non soffre di amnesia. È inoltre possibile speculare sui fatti, ricostruendoli in maniera ordinata e dovendo rispondere a domande a scelta multipla nelle quali selezionare la scelta corretta.
Un’opera creata con amore
Il lavoro di remake fatto per portare nel presente i titoli di Famicom Detective Club è eccellente. Ho adorato lo stile scelto per i personaggi e gli sfondi, che sono puliti e colorati, senza risultare anonimi o snaturare l’atmosfera dell’originale. Non ci sono video o cut-scene, tranne rarissime eccezioni, e in ogni scena solo alcuni elementi sono animati, come il volto delle persone mentre parlano. Tutto ciò ricorda moltissimo lo stile adoperato negli Ace Attorney, a cui ho continuato a paragonare mentalmente questa saga giocandola. È anche a causa delle musiche e dell’ambientazione giapponese, piena di templi, personaggi bizzarri e ovviamente omicidi. Sono piuttosto certa che i fan di Phoenix Wright sapranno apprezzare tali similitudini. Le musiche sono anch’esse ben realizzate e accompagnano bene l’avventura, specie nei momenti più concitati. Col doppiaggio si raggiunge il massimo della cura: tutti i dialoghi sono interamente doppiati in giapponese e con un buonissimo livello di interpretazione. È ciò che ho apprezzato di più in assoluto.
È evidente quanto io abbia apprezzato i due titoli di Famicom Detective Club, che ho giocato tutti di fila fino a terminarli in qualche giorno. Li ho trovati gradevoli, ben scritti e diversi da ciò che sono abituata ad apprezzare su Nintendo Switch. Ciò nonostante, non sono esenti da difetti. Le visual novel sono un genere ripetitivo per definizione e senza troppe libertà lasciate al giocatore e questi non fanno eccezione. Ci si ritrova più e più volte a ripetere le stesse azioni e nonostante io non lo abbia trovato troppo fastidioso, coinvolta dalla storia, ciò può non entusiasmare tutti. Devo inoltre sottolineare come siano titoli da giocare solo se si possiede una sufficiente padronanza della lingua inglese, visto che in alcune occasioni è necessario scrivere la risposta. In genere non sono convinta che sia necessario localizzare tutto in ogni lingua, ma in titoli del genere proposti a prezzo intero sarebbe forse stato appropriato tradurre i testi in italiano, nonché nelle altre principali lingue europee. È un peccato che tanti giocatori non potranno goderselo per questo motivo. Detto ciò, chi può apprezzare il genere e capire i dialoghi è invitato a dare una possibilità alla saga, che mi auguro con tutto il cuore continui ad esistere. Un nuovo capitolo sarebbe un bel regalo per i fan, perciò spero che i due capitoli abbiano un sufficiente successo in occidente da garantire tale possibilità.
Piattaforme: Nintendo Switch
Sviluppatore: Nintendo
Publisher: Nintendo
Famicom Detective Club è una duologia di visual novel investigative che sanno catturare l’attenzione del giocatore. Sono scritte con cura e amore e possono davvero regalare qualche manciata di ore di intrattenimento e di suspense. La mancanza della lingua italiana e la ripetitività di base possono far storcere il naso, ma i titoli meritano lo stesso l’attenzione dei possessori di Nintendo Switch.