La vendetta di un uomo tranquillo – Recensione

Ho sempre pensato che la traduzione non letterale del titolo di un film fosse una buona guida per intuirne in anticipo il contenuto. “La vendetta di un uomo tranquillo” pareva essere la storia di Josè, un uomo che è più facile descrivere rassegnandosi all’impossibilità di farlo, senza arte né partner, non lavora perché vive di rendita, non ha figli, né hobby, alle feste parla con i bambini e l’interesse che mostra alla sorella del barman di quartiere riesce a mettere a disagio persino le donne di là dello schermo. Eppure non sarà la storia morbosa di un passivo-aggressivo, la vendetta non si ridurrà al mero pretesto drammatico. “Tarde para la ira” (titolo originale) è infatti la storia autentica (non vera) di un uomo che vuole i nomi dei rapinatori fuggiti dalla gioielleria in cui lavorava la sua fidanzata e per mano di cui ella morì. Inizia così un 3-days trip insieme a Curro, l’unico che per quella rapina pagò 8 anni in carcere. [quotedx]La vendetta non si riduce a mero pretesto drammatico.[/quotedx]

È la mediocrità che lega i due “quasi-amici”, quella con cui Curro è cresciuto e quella in cui Josè è stato ridotto, formando un duo che a tratti ricorda quello ben più famoso di Breaking Bad. Josè diventa un po’ Walter White, una persona che si assottiglia nel personaggio, un uomo che, privato della sua ragione affettiva e quindi morale, si spoglia di quelle qualifiche che ci rendono uomini particolari: un uomo medio che in ragione della sua mimeticità e dopo aver fatto i conti con la morte può smettere di arrabbiarsi e pianificare la vendetta. Così la critica definisce il film “iperrealista” e io – sembrerà esagerato – sento leggero quel sentimento languido e familiare che così netto sentii alla mia prima pellicola di Truffault: il thriller, solo adesso posso chiamarlo così, prende tutto un altro sapore. Non si mette in moto un meccanismo d’orologio che incrocia intenzioni e inganni nella trama dei personaggi, qui l’unico che sa quel che fa è Josè, il resto procede come procedono le vite quotidiane delle persone, a seconda – è chiaro – del loro grado di coinvolgimento. Non mancano certo tensione, comicità (a volte si sperimentano persino insieme), sangue ed elementi di sorpresa. Ma “l’aria di famiglia” permea tutta la pellicola. E forse non sono solo la nostra “parentela” con l’ambiente spagnolo, il folklore, le luci gialle, le strade e le villette, le hand-held shot e gli angoli di campo della fotografia. Qui più che mai è la regia a convincerci della genuinità del progetto. Riavvolgiamo il nastro.

http://es.eonefilms.com/eOne/medialibrary/eOneFilmsSpain/eOneFilmsSpain/Films/tarde%20para%20la%20ira/TARDE-PARA-LA-IRA_BANNER_1200X513.jpg?width=1200&height=513&ext=.jpg
Ho detto “quasi” amici.

Raúl Arévalo è prima di tutto studente di Teatro alla Escuela de Interpretación Cristina Rota di Madrid, poi attore delle ultime due stagioni della serie spagnola Compañeros (dalla quale è stata tratta la fiction Rai Compagni di scuola) e, ancora, migliore attore esordiente del film drammatico Azuloscurocasinegro per gli Spanish Actors Union Awards 2007, co-regista del cortometraggio di successo intitolato Traumalogía interpretato da Antonio de la Torre, Goya nel 2010 come miglior attore non protagonista per il film Gordos e protagonista de La isla mínima, thriller socio-politico detentore di dieci premi Goya. A quattro anni dalla scrittura del copione, Arévalo e la sua equipe contattano Ruleta Media, la stessa impresa che finanziò La vida inesperada, in cui lui aveva recitato. Il film viene finanziato con 1,2 milioni di euro e l’appoggio di uno dei più importanti gruppi radiotelevisivi spagnoli, RTVE. Insomma: con una dignitosa gavetta (e una buona stella) il 36enne Arévalo ci ha regalato un bellissimo thriller nostrano.