The Rivers of Alice – Recensione

Ai più, probabilmente il nome Delirium Studios non dirà nulla: piccola casa di software incastonata a Bilbao, lungo il confine settentrionale della Spagna, è la creatura nata nel 2006 dalla passione di tre giovani soci, nonché membri dell’ente no-profit che ogni anno dà vita all’ormai celebre D.I.C.E. Summit. Dapprima limitata al solo panorama iberico, l’occasione di emergere e confrontarsi con il mercato internazionale è arrivata alla fine del 2013 con il rilascio di The Rivers of Alice (tradotto nella nostra lingua come I Fiumi di Alice), avventura grafica punta-e-clicca, o meglio, punta-e-“tappa” rilasciata per tablet e smartphone. Le chine, le matite e i pennelli di Ane Pikaza, artista residente a Bilbao, hanno infuso al variegato cast di personaggi e agli scenari onirici lo spirito di un libro illustrato, che si sfoglia dinanzi ai nostri occhi con l’incedere degli eventi. Il peculiare stile grafico, l’enfasi incentrata sulla placida esplorazione degli ambienti e le musiche composte dai Vetusta Morla, affermato gruppo indie rock di Madrid, hanno subito attirato l’attenzione di critica e pubblico, soprattutto fra i nostalgici di un genere sempre più trascurato dai grandi nomi dell’industria videoludica ma che, per fortuna loro e del sottoscritto, sta vivendo una seconda giovinezza grazie agli sforzi di molti sviluppatori indipendenti. I riconoscimenti conseguiti hanno quindi convinto i Delirium ad allargare il bacino di utenza del loro gioco e così, a due anni dal lancio, The Rivers of Alice approda in una versione “estesa” anche su Wii U, il cui GamePad ha reso quasi indolore la transizione dai dispositivi mobili, e su Steam, dove i controlli sono stati rivisti per meglio adattarsi al puntatore del mouse. E’ giunto dunque il tempo di scoprire se riusciremo ad emergere ancora una volta da questo bizzarro labirinto di sogni…

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Fase REM

Protagonista della storia è la titolare Alice, una ragazzina che si ritrova catapultata in un mondo generato dal suo subconscio, alla disperata (in realtà, piuttosto tranquilla) ricerca delle quattro libellule che compongono un medaglione a lei caro e che, senza nessun preavviso, una notte hanno preso vita e sono fuggite nei reconditi meandri della sua fantasia. Presa coscienza della situazione, il panorama che le si staglia davanti agli occhi è quello di un placido fiume che taglia in due una prateria accarezzata dal vento, laddove in origine si ergevano le solide mura della sua cameretta. Alice si presenta al giocatore come l’unico personaggio monocromatico in un paesaggio dai colori tenui, come fosse un acquerello tratteggiato da pochi passaggi ben studiati. Le animazioni sono rifinite a dovere e specifiche per le azioni intraprese, conferendo ad Alice un certo grado di personalità che non guasta mai. Il primo comprimario che incontreremo è Pigrizia, un mostriciattolo a forma di chiocciola dal volto umano che risponde ai nostri quesiti con pittogrammi di facile, anche se spesso non proprio immediata, comprensione. La scelta di delegare le conversazioni ad uno scambio di disegni, consultabili in seguito grazie al taccuino che Alice porta sempre con sé, è quantomeno originale: tutti i personaggi con cui avremo a che fare si esprimeranno in tal modo, elargendo suggerimenti o formulando richieste sotto forma di immagini; pigrizia sarà quello che consulteremo più spesso, poiché è anche l’unico in grado di fornirci indizi espliciti qualora ci imbattessimo in un enigma troppo complesso. Le uniche parti testuali del gioco sono rintracciabili nelle indicazioni visualizzate durante le schermate di caricamento, che gettano anche luce sui retroscena delle peripezie di Alice, e nei passaggi sibillini riportati su alcune piante a forma di libro che sbucano letteralmente fuori dal terreno dopo aver superato certe sequenze.

L’interfaccia utente è basilare: facendo clic sugli oggetti, le creature o gli elementi del fondale con cui è possibile interagire, evidenziati da una breve animazione quando ci passiamo sopra con il cursore, viene visualizzato un menu circolare tramite il quale si può compiere una fra le tre azioni disponibili, ovvero parlare, osservare e raccogliere/utilizzare. L’inventario, richiamabile con un apposito pulsante posto in alto a destra, elenca i possedimenti di Alice e permette di utilizzarli semplicemente trascinandoli sul punto di interesse. L’eredità di un titolo concepito per il touchscreen si sente eccome. Atmosfere surreali, delicate e (quasi) mai opprimenti, controlli abbastanza intuitivi e ritmi mai serrati. Pollice recto, dunque?

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Incubo

Purtroppo no, perché i difetti che gravano su The Rivers of Alice hanno un peso maggiore rispetto ai suoi pur apprezzabili pregi.
A livello concettuale, l’ottima colonna sonora dei Vetusta Morla non si limita ad accompagnare le gesta di Alice ma costituisce, di fatto, l’intero filo conduttore della vicenda: ogni singolo ingrediente del gioco è tratto o ispirato in qualche maniera ai testi della band madrileña, risultando dunque oscuro a quanti non hanno familiarità con la loro musica. In particolare, le summenzionate piante-libro contengono interi stralci dei loro brani che non possono essere apprezzati fino in fondo se slegati dal contesto, per di più afflitti da un adattamento italiano poco brillante. Come già detto, la cura riposta nelle animazioni di Alice è notevole, ma i suoi movimenti sono letargici e spesso si è obbligati a fissare il monitor senza poter fare nulla, se non attendere che abbia finito di attraversare il paesaggio per accedere alla prossima schermata. A proposito di queste ultime, inoltre, il loro legame con le tematiche dei Vetusta Morla le rende per i meno avvezzi un susseguirsi di scenari completamente sconnessi fra loro, costellati di personaggi strampalati e fini a se stessi, complice anche il fatto che siano stati concepiti solo come riferimenti ai lavori del gruppo musicale e non forniscano alcun indizio circa la loro natura, o perché si materializzino nei sogni di Alice. Sono, in pratica, soltanto degli ostacoli che si frappongono tra noi e la fine dell’avventura, privi di qualsivoglia caratterizzazione.

Gli enigmi spaziano dall’elementare all’illogico, costringendoci non di rado ad estenuanti camminate per parlare con Pigrizia, la quale in più di un’occasione ci spiattellerà direttamente la soluzione abbozzata degli stessi. La cosiddetta versione estesa si limita ad aggiungere una canzone ed una singola scena extra rispetto all’originale, un po’ poco considerato che il comparto grafico non è stato minimanente toccato e presenta delle sgranature inconfutabili a risoluzioni elevate, frutto del riciclo dei medesimi asset. Alcuni bug che in precedenza causavano il crash dell’applicazione su smartphone sono stati corretti, ma ne sono stati introdotti di nuovi che in qualche frangente impediscono di progredire, costringendo a forzare un riavvio o a caricare un salvataggio precedente nei casi più gravi. La presenza di tre soli slot adibiti a tale scopo è un peccato di indolenza imperdonabile, per una conversione su PC (e difficile da accettare anche per un’app pubblicata nel 2013).

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Risveglio

E’ un dispiacere immenso dover stroncare un titolo come questo, soprattutto alla luce dei suoi indubbi meriti artistici. Tuttavia, è di un videogame che stiamo parlando, e come tale le evidenti carenze in termini di giocabilità lo rendono davvero poco gradevole da provare. Se gli sviluppatori avessero quantomeno costruito una storia ben amalgamata anziché limitarsi a realizzare un eccessivo tributo ai Vetusta Morla, oltretutto comprensibile soltanto dai loro fan, forse parte delle magagne che affossano l’avventura le avrei digerite meglio. Così com’è, il potenziale di The Rivers of Alice non viene neanche lontanamente sfruttato, e il gioco è costretto a ritagliarsi una nicchia fra gli appassionati quando avrebbe invece potuto aspirare a molto di più.