Raúl Arévalo, attore spagnolo che al suo debutto da regista ha venduto quattro premi Goya per La vendetta di un uomo tranquillo (Tarde para la ira), stimato dalla critica internazionale e dal ben più ristretto gruppo di intervistatori dell’Hotel Sofitel di Roma si è reso oggi disponibile a rispondere ad alcune domande. La sala dell’hotel era piccola e accogliente e Raúl, accanto alla sua interprete, sembrava a proprio agio nelle sue scarpe da tennis e con la sua prossemica composta. Al netto delle domande che anche i miei colleghi hanno posto, era anzitutto una la curiosità che volevamo soddisfare: come ha fatto Alévaro, a soli 37 anni, a dirigere un film così ben strutturato e senza prove registiche alle spalle.
Lei è riuscito a portare sulla scena personaggi realistici, ma ancora universali. La presenza dello psicologo e amico David Pulìdo nel ruolo di sceneggiatore del film come ha influito nella caratterizzazione dei personaggi (che sono al contempo particolari e archetipiche)?
La presenza del mio amico Pulìdo è stata fondamentale nella trasposizione cinematografica dei personaggi che volevo. Volevo un film realistico, crudo, secco e che la profondità psicologica dei personaggi fosse credibile, ma grazie al confronto con Pulìdo capii che la realtà spesso non funzionava cinematograficamente: mi disse che il 95% delle persone con un profilo psicologico come quello di Josè hanno tratti ossessivo-compulsivi, tic e quant’altro, ma se avessi semplicemente trasposto quel profilo “reale” nel film lo spettatore non avrebbe empatizzato con lui, riconoscendolo e infine etichettandolo solo con un matto.
[quotesx] i miei riferimenti sono anzitutto Godard, Garrone, i fratelli Dardenne[/quotesx]Siamo rimasti colpiti dall’autenticità del film. Ci sono dei registi in particolare che hanno ispirato in tal senso il suo stile?
Sapevo di volere un film che avesse un’identità ben definita, nel mio caso fortemente spagnola e io conosco molto bene l’ambiente che poi ho portato in Tarde para la ira, l’atmosfera del “barrio” e la sua “localizzazione”, i suoi personaggi che dipingono ingenuamente il ritratto di quello che è la Spagna. Così i miei riferimenti sono anzitutto Godard, Garrone, i fratelli Dardenne ed esteticamente Carlos Saura degli anni ’70, tipi di cinema molto diversi fra loro, ma che prendono le distanze da quello americano, troppo spesso “ipocritamente universale” per concentrarsi su quell’universale che a ben vedere si nasconde nel particolare. Su questa linea, quindi, il mio intento era quello di raccontare la Spagna che conosco, Castilla, Madrid.

Noi di MovieVillage siamo anche curiosi di sapere come sia avvenuto l’incontro del suo lato più notoriamente attoriale con quello registico. In che modo è stata utile la sua formazione da attore?
Ho sempre voluto fare regia, ma 12 anni fa ho avuto la fortuna di lavorare come attore e questo mi ha consentito di assorbire, “vampirizzare” il lavoro dei registi che lavoravano attorno a me. Dal punto di vista dell’attore ho quindi scoperto di cosa ha bisogno per portare avanti il suo personaggio in modo credibile, che, in ultima battuta, è proprio quello di conoscere il lavoro del regista.
Non ho incontrato molte difficoltà nella regia. Ho capito di avere molti problemi nella conduzione della mia vita quotidiana, riesco ad angosciarmi persino all’arrivo di una lettera bancaria, ma nella direzione di un film mi sono sorpreso molto abile nella risoluzione dei problemi. Il montaggio è quello che ha richiesto più cura di quello che mi aspettassi, ma ancora una volta è stata la mia passione a tenermi sveglio la notte a casa a intestardirmi sulla buona riuscita del montaggio che desideravo.
[quotedx]Mi angoscia l’arrivo di una lettera bancaria[/quotedx]Ma come ha fatto una storia così semplice, con una struttura così lineare a conquistarsi i cuori degli spettatori e della critica?
Per diversi motivi, i due protagonisti, benché d’estrazioni sociali distanti, si trovano “nudi” nella stessa situazione, quello che è successo nel passato li unisce nel presente e quello che mi sembrava interessante scrivere è che questo loro viaggio che li vede nemici al principio lascia emergere il loro comune essere uomini, il luogo in cui possono “incontrarsi”. Così, nonostante lo spettatore non partecipi del loro modo d’essere, è ancora possibile comprendere i drammi che sottostanno all’umanità. Era un po’ l’intento di un film che non vuole essere originale, perché film sulla vendetta ne hanno fatti milioni!
E adesso, angosciato dal successo o convinto di proseguire con la regia?
La seconda, decisamente! Spero solo che la mia prossima pellicola non abbia i tempi di attesa che ha avuto Tarde para la ira (8 anni per ottenere i fondi) e di poterla realizzare con la stessa libertà, senza pressioni. Sto già lavorando alla seconda pellicola, ma intanto continuo a fare lavori come attore.
Si è conclusa così l’intervista al giovane regista spagnolo, un perfezionista nella direzione dei suoi film e un ragazzo sorprendentemente divertito da un gruppo di giornalisti che gli chiedono un selfie! Alla mania social, del resto, non sfugge proprio nessuno.