Klaus – I Segreti del Natale Recensione

Klaus

Babbo Natale non guida una slitta volante, non parla tutte le lingue del mondo e non ha degli elfi come assistenti. La sua fabbrica di giocattoli non è un laboratorio super tecnologico, ma un capanno in legno che si staglia su un pendio innevato. Klaus di Sergio Pablos, sì, racconta la storia del giocattolaio vestito in rosso che nella notte del 24 dicembre distribuisce doni ai bambini, ma dà una svolta inaspettata agli eventi, rendendo un postino imbranato e svogliato il vero artefice della leggenda. Il film d’animazione Netflix, disponibile dal 15 novembre sulla piattaforma, si scrolla di dosso la maggior parte dei cliché natalizi; non mancano certo riferimenti ai grandi classici (come il Grinch di Dr. Seuss) e i valori che la pellicola fa emergere sono quelli che meglio si sposano con le festività, vale a dire la generosità, la bontà d’animo e il perdono, ma il racconto è assolutamente originale. Peraltro, arriva in un momento di cruciale importanza per il noto servizio streaming: Disney sta per lanciare la propria piattaforma e via via priverà Netflix di tutti i suoi contenuti, ma produzioni come Klaus dimostrano agli abbonati che la società è in grado di realizzare lungometraggi animati altrettanto validi.

Klaus

Scritto da Zach Lewis e Jim Mahoney da un soggetto di Pablos – co-creatore di Cattivissimo me – il film inizia in un luogo inaspettato: la Royal Postal Academy in Norvegia. Lì incontriamo Jesper (doppiato da Marco Mengoni), un giovane viziato che in realtà è un semplice postino: il suo ricco padre, responsabile del servizio postale della nazione, ha insistito sul fatto che impari l’attività di famiglia, ma Jesper è un fallimento assoluto nel lavoro e il suo unico pensiero è bighellonare, vivere nel lusso e dormire tra lenzuola di seta. Un giorno, tuttavia, il padre gli dà un ultimatum. Lo manda nel remoto villaggio di Smeerenburg (sulle isole Svalbard, a metà strada tra la terraferma e il Polo Nord) per per riattivare l’ufficio postale defunto della città. Finché il giovanotto non riuscirà a smistare 6000 lettere, non potrà tornare alle sue comodità.

Peccato che Smeerenburg sia anche peggio di quanto Jesper possa immaginare: è una terra desolata i cui residenti si odiano tutti, dove le faide tra fazioni sono l’unica forma di interazione sociale e dove, se doveste imbattervi in bambini che fanno un pupazzo di neve, avrebbero visi pallidi e occhiaie in stile Tim Burton (e userebbero le carote per pugnalare il pupazzo, non per creargli il naso). I due clan principali, i Krums e gli Ellingboes, lo rendono un posto invivibile. Gli estranei con buone intenzioni appassiscono a Smeerenburg, come l’insegnante Alva (doppiata da Ambra Angiolini). Un tempo piena di entusiasmo, la donna è stata costretta a trasformare la sua classe in una pescheria nella speranza di guadagnare abbastanza soldi per andarsene da lì. Come Alva, anche a Jesper serve poco tempo per perdere la speranza: su un’isola in cui i vicini si fanno guerra e non comunicano tra loro, se non per indire una tregua momentanea, chi invierebbe mai una lettera? Succede però impossibile: grazie al disegno di un bambino che raffigura se stesso, solo e triste, rinchiuso in un attico, Jesper fa la conoscenza di un robusto eremita: è un falegname, vive lontano dal centro abitato e le sue lame affilate terrorizzano il giovane postino. Tiene riposti una quantità industriale di giocattoli, lì a prender polvere, mentre si dedica alla costruzione di casette per gli uccellini e rimugina sul passato.

Klaus

Klaus (la cui voce italiana è di Francesco Pannofino) non è un chiacchierone, in realtà non spiccica una parola con nessuno e persino un tipo esuberante come Jesper fatica per tirargli fuori due sillabe. Ha un passato oscuro e lo spettatore non ci mette molto per capire che l’omone nasconde, dietro il suo fare burbero, tanta sofferenza. Grazie a lui, tuttavia, Jesper trova un modo per indurre i bambini della cittadina a inviare lettere: basta una missiva, infatti, e nel cuore della notte Klaus avrebbe consegnato loro – con l’aiuto del protagonista – giocattoli e dolciumi. Questa rivisitazione della leggenda di Babbo Natale si lega perfettamente al suo stile visivo, che combina le tecniche moderne ad ambientazioni e personaggi che avrebbero potuto essere disegnati mezzo secolo fa. Gli animatori sfruttano la capacità dei computer per dare profondità e senso di movimento ai personaggi, ma mantengono il look del disegno a mano. Le immagini sembrano tratte da un libro di fiabe.

L’atmosfera tetra della città lascia il posto alla magia del Natale quando, grazie anche a una bambina di una vicina comunità Sami, il giro di consegne si allarga e le ostilità vengono messe da parte a Smeerenburg.

A parte uno o due momenti in cui il film gioca più di quanto non sia necessario sul lato emotivo, gli unici passi falsi di Klaus sono nelle scene in cui la musica contemporanea confonde l’atmosfera senza tempo. Sebbene oggi si adattino alle situazioni e non stonino eccessivamente, questi spunti musicali potrebbero danneggiare la produzione se, come è presumibile, Klaus diventasse un film che le famiglie si troveranno a guardare anche tra parecchi anni, come appuntamento fisso durante le festività natalizie. Il lungometraggio di Sergio Pablos, per il resto, è un film per grandi e piccoli, capace di divertire, coinvolgere e commuovere lo spettatore attraverso un racconto originale che attinge da una tradizione centenaria.

La mia sedia a rotelle è come il kart di Super Mario. In qualsiasi cosa devo essere il migliore, altrimenti ci sbatto la testa finché non lo divento. Davanti a un monitor e una tastiera, però, non è mai stato necessario un grande sforzo per mettermi in mostra. Detesto troppe cose, sono pignolo e - con molta poca modestia - mi ritengo il leader perfetto. Dormo poco, scrivo tanto, amo i libri e divoro serie tv. Ebbene sì, sono antipatico e ti è bastata qualche riga per capirlo.