Detroit Become Human: analisi tecnica della versione PC

Detroit: Become Human

Anche se, di questi tempi, sembra sempre più difficile fissare e rispettare le date di uscita per il mercato retail, la notizia che il distributore indipendente 4Side, una costola del gigante lombardo Esprinet dedicata al gaming e fondata da buona parte del management storico di Activision Blizzard in Italia, avrebbe rilasciato un’edizione fisica dell’acclamato Detroit Become Human per PC è stata accolta con gaudio e tripudio da parte dei collezionisti. La più recente e fortunata avventura concepita da David Cage e dalla sua Quantic Dream ha infatti debuttato sui computer casalinghi lo scorso dicembre in veste di esclusiva digitale per Epic Game Store, perciò l’offerta di 4Side è l’occasione giusta per mettere le mani, nel vero senso della parola, su una copia tangibile della stessa e, volendo, anche di Heavy Rain e Beyond: Two Souls che pure faranno parte della proposta 4Side per la distribuzione nei negozi. Non c’è dunque momento migliore per calcare di nuovo le strade di una Detroit futuristica e futuribile, celebre per essere la capitale dell’industria automobilistica statunitense e per aver dato i natali alla Motown Records, che nella fantasia del designer francese è divenuta anche il centro nevralgico della produzione di androidi, automi dalle fattezze umane utilizzati per una moltitudine di scopi che spaziano dai lavori più duri alle faccende domestiche. Abbiamo già avuto modo di parlare della versione PC e qualche incertezza sotto il profilo tecnico ci aveva lasciati perplessi, seppure l’impatto e la profondità dell’epopea fantascientifica firmata Cage e Adam Williams non sono stati naturalmente toccati dal cambio di hardware, perciò andiamo a verificare se le patch rilasciate in questi mesi abbiano giovato alle performance oppure no.

Detroit: Become Human

Detroit Become Human:  c’era una festa e non mi hanno invitato?

Per chi non avesse dimestichezza con l’ultimo sforzo creativo dell’autore originario di Mulhouse, in Detroit Become Human seguiremo le peripezie di tre androidi: Connor, una nuovissima unità investigativa sviluppata per aiutare la polizia con i casi che coinvolgono i suoi fratelli devianti, così come vengono etichettati gli esseri artificiali che si ribellano ai loro modelli comportamentali standard; Kara, un modello costruito per occuparsi di mestieri casalinghi che salva una ragazza dal padre violento; e Markus, un badante sintetico accusato di aver fatto del male al suo proprietario. L’aspetto più prominente di Detroit è senza dubbio la sua storia, che evidenzia i problemi relazionali fra gli esseri umani e le loro creature meccaniche, da molti ritenuti alla stregua di strumenti troppo evoluti che rischiano di capovolgere l’ordine sociale precostituito, e proprio in mezzo ai primi, inequivocabili segnali di una rivolta su vasta scala si collocano i nostri protagonisti, chiamati ad affrontare una realtà complessa e ostile con l’ausilio delle decisioni che prenderemo, in base alle quali il racconto potrebbe imboccare direzioni radicalmente diverse.

Detroit: Become Human

In termini di complessità, design e ramificazioni narrative, si tratta dell’opera più vasta mai realizzata da Quantic Dream, al punto che per tenere traccia di tutti i numerosi bivi presenti in ciascun capitolo potremo consultare, al termine degli stessi, un diagramma di flusso con ogni prevedibile conseguenza per pianificare le nostre mosse nel corso delle partite successive. Possiamo sperimentare sia scelte drammatiche dall’impatto immediato sia comportamenti all’apparenza innocui che si ripercuoteranno solo in momenti successivi, orientandoci verso una pletora di finali sia positivi che negativi: certo, a volte potrà capitare di imbattersi in alcune risoluzioni che contraddicono quanto precedentemente stabilito, ma la sensazione resta comunque quella di possedere una buona porzione di libero arbitrio sul destino cui andranno incontro i personaggi principali.

Detroit: Become Human

Tu sei l’essere che distruggerà Detroit

I titoli della software house parigina sono stati da sempre cuciti addosso all’hardware delle console casalinghe prodotte da Sony, vantaggio questo che ha consentito ai loro differenti approcci tecnologici di poter essere ottimizzati al centesimo sulla potenza di calcolo di una macchina specifica e che, viceversa, non ha semplificato il lavoro di conversione su PC: nella fattispecie, Detroit Become Human sfrutta la versatilità di Vulkan, una suite di API multipiattaforma a basso livello per lo sviluppo di applicazioni in 2D e 3D che raccolgono l’eredità di Mantle e dell’interfaccia OpenGL, e in tal senso ha puntato a ricreare la medesima esperienza proposta su PlayStation 4 senza scendere a compromessi eccessivi. Per la prova, ho utilizzato un processore Ryzen 7 con 16GB di RAM DDR4, coadiuvato da una NVIDIA GTX 1660 Ti con 6GB dedicati, combinazione che mi ha consentito di raggiungere risultati eccellenti al massimo del dettaglio in giochi come Total War: WARHAMMER 2, Assassin’s Creed: Odyssey e Final Fantasy XV, pertanto mi sono avvicinato con una certa sicumera alle impostazioni grafiche dell’avventura firmata Quantic Dream: gli sviluppatori hanno messo a disposizione un cospicuo quantitativo di dettagli che consentono di regolare la qualità e il filtro delle texture, le ombre, i modelli, la profondità visiva e il livello di motion blur. Ci sono anche opzioni per modificare l’illuminazione volumetrica, la qualità dei riflessi, l’occlusione ambientale e l’effetto bloom. Infine, abbiamo la possibilità di scalare la risoluzione per ottenere un discreto supersampling (anche se decisamente esoso quanto a risorse consumate) e di limitare il framerate: le uniche due alternative presenti sono 30 e 60 fps ma, portando la voce “GraphicOptions.JSON” del file di configurazione a “4”, potremo facilmente sbloccarlo per accedere a tutte le “sfumature” intermedie o, qualora disponessimo di sufficiente potenza di fuoco, persino superarle.

Detroit: Become Human

Inutile nasconderlo, Detroit rappresenta ancora oggi uno dei giochi più esigenti che possiate far girare sui vostri PC: se possedete una vecchia CPU dual- o quad-core (come l’i5-2300 indicato fra i requisiti minimi), la vostra pazienza verrà messa a dura prova da rallentamenti perpetui e da un framerate infimo anche con i dettagli al minimo, mentre le performance inizieranno a stabilizzarsi dai 6 core in su. Non aspettatevi tuttavia una resa impeccabile nemmeno salendo di fascia, perché rimarremo ben al di sotto dei 60 frame anche con un 8-core e la suddetta GTX 1660 Ti se lasciamo i settaggi a Ultra, mentre scendendo di una tacca in termini di qualità grafica avremo prestazioni oltremodo godibili che tendono a scricchiolare un po’ durante le cutscene, fasi in cui la telecamera azzarda inquadrature un po’ eccessive che esigono maggiore capacità elaborativa. Beninteso, tutto ciò resta valido se non ci spingiamo oltre i 1440p di risoluzione, poiché temo non esista ancora una scheda video capace di far girare il titolo a 60 fps fissi in 4k. Qualunque sia il livello di dettaglio consono per la vostra attrezzatura, la presentazione di Detroit Become Human è davvero sontuosa anche su PC: i modelli dei personaggi sono assolutamente sbalorditivi e Quantic Dream ha utilizzato a fondo un quantitativo immane di texture in altissima risoluzione per rivestirli. Sebbene i vari ambienti non siano troppo estesi né ci sia concesso vagabondare troppo oltre i confini previsti dalle vicende, l’aspetto esteriore e i piccoli particolari come luci, fogliame, tendaggi, imperfezioni delle superfici ed effetti atmosferici denotano la medesima cura riservata ai personaggi. Peccato soltanto che l’interattività con i fondali e la fisica degli oggetti siano molto limitate, ma sono comunque presenti diversi eventi scriptati che fanno abbondante sfoggio delle potenzialità cinetiche degli oggetti riprodotti dal motore grafico.

In conclusione, il porting di Detroit rimane un titolo davvero impegnativo per i nostri computer e lo straordinario comparto audiovisivo, per quanto giustifichi almeno in parte la richiesta di una GPU di fascia alta, mette a durissima prova anche il processore per motivi che, a tutt’oggi, risultano ancora ignoti: la quantità gargantuesca di cicli iterativi pretesi dalla CPU non sembra infatti trovare una specifica ragion d’essere, soprattutto se messa a confronto con titoli dal gameplay analogo come The Dark Pictures: Man of Medan, che risulta assai più indulgente dal punto di vista dell’hardware. Inoltre, il paragone con l’originale su PlayStation 4 fa figurare quest’ultimo meglio di quanto mi sarei aspettato poiché, a parte una migliore accuratezza degli algoritmi di shader e illuminazione, il risultato su console non si discosta più di tanto da ciò che è possibile ammirare su macchine con ben sette anni di avanzamento tecnologico sulle spalle, a ulteriore riprova dell’ottimo lavoro svolto dal team di David Cage sull’hardware ingegnerizzato da Sony. Speriamo soltanto che le future patch di aggiornamento consentano anche ai proprietari di personal computer non proprio all’ultimissimo grido di beneficiare del nuovo romanzo interattivo firmato Quantic Dream, dato che si tratta in assoluto della loro produzione narrativa e tecnologica più avanzata: se potete permettervelo, un giro per le strade di questa Detroit distopica e fluorescente (ma anche molto, molto più vicina a noi di quanto non appaia) è assolutamente dovuto.

Gioca da quando ha messo per la prima volta gli occhi sul suo Commodore 64 e da allora fa poco altro, nonostante porti avanti un lavoro di facciata per procurarsi il cibo. Per lui i giochi si dividono in due grandi categorie: belli e brutti. Prima che iniziasse a sfogliare le riviste del settore erano tutti belli, in realtà, poi gli è stato insegnato che non poteva divertirsi anche con certe ciofeche invereconde. A quel punto, ha smesso di leggere.