Gli occhi di Tammy Faye recensione: il biopic con Jessica Chastain e Andrew Garfield

Quello sguardo, quel maledetto sguardo…” Iniziamo così, citando un celebre meme, la nostra recensione di Gli occhi di Tommy Faye, un film che già dal titolo esplica uno dei punti di forza delle due ore di visione. E già dal fotogramma iniziale il primo piano di Jessica Chastain, nella sua versione invecchiata dal trucco, è di quelli che lasciano il segno.

Non è un caso che la bella attrice che da anni risiede ormai nel nostro Paese dopo aver convolato a nozze con un nostro fortunato conterraneo, l’imprenditore Gian Luca Passi, sia stata recentemente candidata al Golden Globe, perdendo nella relativa categoria ma conquistando in ogni modo il plauso della critica. E proprio il cast è di quelli da leccarsi i baffi: oltre alla rossa protagonista, a dividere con lei la scena troviamo un certo Andrew Garfield, sulla cresta dell’onda dopo l’ultimo Spider-Man e – lui sì – vincitore del G.G. per la sua performance in tick, tick…BOOM! (2021).

Gli occhi di Tammy Faye: l’oppio dei popoli

La pellicola è biografica, con i due che vestono i panni di controversi personaggi che hanno segnato, nel bene ma soprattutto nel male, la storia televisiva americana. Tammy Faye e Jim Bakker sono stati infatti due famosi telepredicatori, che diffondevano il loro messaggio di amore per Dio tramite il piccolo schermo. Marito e moglie, i due hanno acquisito un progressivo consenso di pubblico con lo scorrere degli anni, fino a diventare delle vere e proprie celebrità: peccato che dietro il loro intento apparentemente caritatevole si nascondessero truffe di vario genere e che quel matrimonio esteriormente idilliaco fosse in realtà assai problematico.

Gli occhi di Tammy Faye sviscera pubblico e privato, partendo dall’infanzia di Tammy – che riceve una sorta di “illuminazione” divina quando era solo una bambina – al suo incontro con Jim e così via, tra filmati di repertorio dei telegiornali che fanno capolino qua e là a spiegare alcuni dei passaggi più drammatici della vicenda. Il regista Michael Showalter, autore in carriera di divertite e divertenti commedie romantiche come The Big Sick – Il matrimonio si può evitare… l’amore no (2017) e The Lovebirds (2020), dimostra una certa dimestichezza col bio-pic e tranne qualche momento di parziale lentezza l’insieme scorre fluido, riuscendo ad appassionare a queste figure così subdole ma al contempo affascinanti, vittime di loro stesse e dei loro errori: quando si arriva alle fasi finali del racconto si prova un misto di rabbia e pietà, con il destino effettivo della coppia reale che non può lasciare indifferenti, in un senso o nell’altro.

Mai dare niente per scontato

Il film è basato sull’omonimo documentario realizzato nel 2000 da Fenton Bailey e Randy Barbato e paga i vizi e le virtù di una sceneggiatura come detto densa ma non sempre concisa, con alcuni eventi su cui ci si è focalizzati troppo poco e altri che invece hanno ottenuto uno spazio forse superiore al dovuto. Il progetto è stato particolarmente voluto dalla Chastain, che già nel 2012 ha acquistato i diritti per realizzare una trasposizione della vita di Tammy Faye, e non è un caso che l’attenzione della camera si concentri in particolar modo sulla sua espressività e fisicità: con il make-up a renderla irriconoscibile soprattutto quando più anziana, l’attrice è alpha e omega di numerose sequenze e quell’epilogo con l’Hallelujah è tra i momenti più evocativi dell’intera visione, perfetta chiusura di un cerchio narrativo non sempre perfetto ma pregno di spunti. E pensare che la Chastain ha effettivamente cantato tutti i pezzi del film, numerosi, è un vero e proprio valore aggiunto alla sua interpretazione. Allo stesso modo Garfield riesce a dosare con lucida sobrietà il carattere di un co-protagonista scomodo e riesce a non farsi mettere in ombra: proprio nella (dis)fida tra i protagonisti Gli occhi di Tammy Faye vive di passaggi intensi e non banali, tanto che il rapporto dicotomico di amore e odio ne esce sempre vincitore anche nelle fasi più drammatiche.

Allo stesso modo si respira il sapore di un’America bigotta e credulona, pronta a farsi abbindolare alla prima occasione: basta nominare Dio e opere di bene affinché migliaia di persone – telespettatori cadano vittima dell’inganno perpetrato, più o meno volontariamente, dai due tele-evangelisti, ormai assunti a ruolo di star. Il mondo dello show business, pur nell’ottica di devozione data dalle emittenti cristiane, trova altrettanti villain e lati oscuri e in questo è altrettanto fondamentale il personaggio secondario di Vincent D’Onofrio, elemento di rottura che rischia di complicare sempre più il rapporto tra i coniugi. Proprio il marciume che si nasconde dietro le apparenze, con l’ingenuità degli spettatori che elargiscono copiose donazioni e credono ciecamente alle parole che provengono dallo schermo, è uno degli elementi cardine sul quale si appoggia il fulcro stesso del film, fatto di un sottile gioco di ambiguità che si ripercuote in ogni ambito narrativo. E che caratterizza le molteplici sfumature di un film certamente non perfetto ma accattivante in più occasioni.

Non era facile entrare anima e corpo in un personaggio così scomodo e parzialmente respingente, capace a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta di caratterizzare il folklore del piccolo schermo d’Oltreoceano, nella sua declinazione più evangelica. Infatti Tammy Faye e suo marito Jim Bakker sono due famosi predicatori che hanno ottenuto successo in televisione, rivolgendosi inizialmente al pubblico dei più piccoli – con i pupazzetti recitanti apposite scenette a sfondo religioso – per poi ampliare il proprio range a quello degli adulti, elemento che ha dato modo loro di approfittare dell’ingenuità della gente e truffare diversi milioni. Gli occhi di Tammy Faye è un bio-pic che vive in particolar modo sulle interpretazioni dei due protagonisti e se Jessica Chastain è anima – e voce – magnetica del racconto, non da meno è Andrew Garfield nei panni del compagno: il loro rapporto offre scene madri ricche di suspense drammatica e poco importa se in alcuni passaggi la sceneggiatura pecchi di un certo equilibrio. A tratti sbilanciata su toni più leggeri e altrove più melò, la vicenda è comunque in grado di mantenere  alto l’interesse per tutte le due ore di visione, permettendo(ci) di scoprire una pagina mediatica perlopiù sconosciuta su questi lidi.

Voto: 6