Come eravamo trent’anni fa? Il 1989 del gaming in rassegna

Se nella comune esistenza di un essere umano trent’anni corrispondo più o meno a un terzo della vita, in un settore in evoluzione costante come quello videoludico lo stesso intervallo di tempo può vantare il peso di una vera e propria era geologica. A conferma di quest’assunto basterebbe volgere lo sguardo al 1989, analizzarne gli eventi chiave e metterli in relazione con lo scenario attuale.

Il 1989 si aprì sotto il segno dell’Amiga 500: grazie ad un catalogo software immenso, al supporto di innumerevoli sviluppatori e la parallela spinta della pirateria, il successore del C64 si insediò saldamente in cima alla catena alimentare dei Personal Computer da gioco.

Mentre il popolo dei gamer contemporanei guarda al 2019 come l’anno che segnerà il definitivo avvicendamento tra il mercato digitale e quello fisico, con un occhio puntato alla gigantesca crescita del fenomeno E-Sports e l’altro alle prime anticipazioni sulla nona generazione di console, i ragazzi dell’epoca non avevano la più pallida idea di cosa fosse Internet, erano certi del fatto che la Commodore avrebbe dominato la scena dei Personal Computer per sempre e si fregavano le mani in attesa che il Super Nintendo raccogliesse l’eredità del suo antesignano ad 8Bit.

Frutto del visionario talento di Gunpei Yokoi, la handheld rivoluzionerà per sempre il mondo dei videogame, trasformando un settore portatile fino ad allora limitato al solo proliferare di Game 6 Watch e “scacciapensieri” vari, in una delle branche più floride dell’intera industria.

Ricordato dai più romantici come l’anno in cui il prodigioso Sega Mega Drive valicò i confini della terra del sol levante, il 1989 segnò anche e soprattutto l’avvento del Game Boy, con rivoluzione mediatica annessa. Momentaneamente destinata alle sole platee nipponica e statunitense, la handheld firmata da Gunpei Yokoi avrebbe infatti determinato uno scombussolamento radicale degli equilibri dell’industria, spianandole orizzonti commerciali molto più vasti di quanto gli analisti di allora riuscissero ad ipotizzare.

Super Mario Land bastò praticamente da solo a legittimare l’idea che il futuro del medium potesse dipendere anche dal gaming da viaggio.

Detto exploit non mancò di maturare conseguenze significative anche in ambito software: a scortare la tascabile Nintendo sugli scaffali dei negozi vi sarebbe stato ad esempio quel piccolo grande capolavoro di Super Mario Land che fugò immediatamente ogni dubbio sollevato dagli scettici circa le reali capacità della macchina di Kyoto.

Sviluppato da Reflections Software per Psygnosis, Shadow of the Beast offrì una cristallina dimostrazione della potenza dell’Amiga 500, candidandosi di diritto al titolo di Game of the Year.

Restando in tema di titoli destinati a far storia, i salotti di mezzo mondo avrebbero inoltre accolto progetti di rilevanza assoluta come Shadow of the Beast della Psygnosis, il primo, straordinario Prince of Persia di Jordan Mechner e il celeberrimo Phantasy Star II, meglio noto ai posteri come la decisa risposta di Sega ai fasti dello Zelda nintendiano.

Saltato fuori quasi dal nulla, Prince of Persia finì per monopolizzare l’attenzione di esperti ed appassionati nel giro di poche settimane grazie alle sue straordinarie animazioni.

Nello stesso istante in cui Batman: The Movie della Ocean amplificava il già clamoroso boom commerciale registrato dall’omonimo cinecomic di Tim Burton, due console al tramonto come NES e Sega Master System sferravano intanto il proprio colpo di coda sfornando, rispettivamente, l’amatissimo Duck Tales e il mai troppo lodato WonderBoy III: The Dragon’s Trap… Il tutto mentre il panorama dei gestionali salutava il debutto di Sim City della Maxis e Populous di sua maestà Peter Molyneux.

Tra i pochi Tie-In cinematografici ad aver mai incontrato la totale approvazione di pubblico ed esperti, Batman: The Movie della Ocean sdoganò la Batmania nel mondo dei Pixel.

A sottolineare ulteriormente le siderali distanze concettuali che separano il gaming del 1989 da quello odierno, subentrerebbero infine i numeri maturati dal settore dei gettoni: un universo oggigiorno dimenticato, in cui il videogiocatore del tempo che fu amava investire gran parte delle proprie risorse economiche.

Sontuoso in single player; praticamente perfetto in multi, Golden Axe rivoluzionò il settore dei beat’em up all’arma bianca, battenzando al contempo una trilogia di classici destinati a fare la storia.

Più affollate che mai, le sale giochi sotto casa regalarono ai propri avventori pietre miliari del calibro di Golden Axe, Final Fight, Teenage Mutant Ninja Turtles, Toki e Strider, cui fecero eco un blockbuster come WWE Superstars e le suggestioni poligonali di Hard Drivin’, nel cui comparto grafico era possibile rintracciare indizi preziosi circa il futuro del game design.

Prima Aracade Hit a vantare una fisica dal taglio simulativo, Hard Drivin’ di Atari offrì al suo pubblico un succulento antipasto di futuro.

Chiusosi col lancio di progetti hardware meno blasonati, ma non per questo inferiori quali Atari Lynx e Turbografx-16 (versione statunitense del prodigioso PC Engine della NEC), il 1989 si sarebbe portato via un decennio irripetibile, nel corso del quale il medium videoludico – non senza correre qualche rischio di troppo – assurse a fenomeno di massa. A trasformare un’industria finalmente fiorente in un pilastro dell’economia mondiale ci avrebbero pensato gli anni ’90… Ma quella è un’altra storia!

Nato e cresciuto sulle pagine di Game Republic dove ha diretto per generazioni la sezione Time Warp, Gianpaolo Iglio ama il retrogaming e lo considera una seconda vita. O una seconda amante. Ha scritto un libro sulle avventure Sierra e insegna Game Journalism e Storia del Videogame alla VIGAMUS Academy con Metalmark.